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Export di orologi svizzeri in forte calo, dopo i dazi USA

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di Isan Hydi

02/10/2025

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Il colpo è arrivato ad agosto, quando le tariffe del 39% imposte dagli Stati Uniti sugli orologi svizzeri hanno iniziato a produrre effetti tangibili. Le esportazioni, che già da mesi mostravano oscillazioni dovute all’incertezza geopolitica e ai movimenti valutari, hanno subito una frenata netta: -16,5% rispetto allo stesso mese del 2024, con un valore complessivo di 1,63 miliardi di franchi.

La caduta del mercato americano

Gli Stati Uniti, tradizionalmente primo sbocco per l’industria orologiera elvetica, hanno registrato un calo del 23%, fermandosi a 245 milioni di franchi. La contrazione non sorprende del tutto: a luglio molti distributori e rivenditori avevano incrementato le importazioni per anticipare i dazi, generando un picco artificiale seguito dal brusco ridimensionamento di agosto.

La nuova imposizione doganale si traduce infatti in un rincaro immediato per il consumatore finale, con effetti sull’intera catena di valore.

A complicare il quadro, un calendario meno favorevole (un giorno lavorativo in meno rispetto all’anno precedente) ha ulteriormente pesato sulle cifre, ma gli operatori del settore concordano sul fatto che la flessione abbia radici strutturali e non solo congiunturali.

Una contrazione diffusa, ma con un’eccezione italiana

L’effetto dazi non ha riguardato soltanto il mercato americano. Cina (-35%), Regno Unito (-20%), Giappone (-22%) e Germania (-24%) hanno riportato tutti cali significativi, confermando la fase di difficoltà internazionale per i produttori elvetici.

A sorprendere, seppure in misura contenuta, è l’Italia, che con un +3% e 72 milioni di franchi di export si è distinta come l’unico mercato in crescita nella top ten mondiale. Un risultato che non compensa certo le perdite globali, ma che testimonia una domanda ancora solida nel nostro Paese, sostenuta da un tessuto di appassionati, collezionisti e retailer di alto profilo.

L’impatto sulle diverse fasce di prezzo

Il calo non ha risparmiato nessuna categoria di prodotto. La fascia alta, oltre i 3.000 franchi, ha ceduto il 17%, penalizzando i marchi del lusso indipendente come Patek Philippe, Audemars Piguet o Rolex. La fascia medio-alta (500-3.000 franchi) ha registrato un -14%, mentre la gamma media (200-500 franchi) ha contenuto le perdite a un -1%. Anche la fascia entry level, sotto i 200 franchi, ha perso il 17%, con ricadute soprattutto per brand più accessibili e distribuiti su larga scala.

Questi dati dimostrano che l’impatto dei dazi non si concentra solo sul lusso, ma si riflette trasversalmente su tutto il comparto.

Gli otto mesi del 2025: un bilancio parziale

Se si guarda al periodo gennaio-agosto 2025, il quadro appare meno drammatico: le esportazioni totali hanno raggiunto i 16,95 miliardi di franchi, in flessione dell’1% rispetto al 2024. Gli Stati Uniti restano comunque in crescita sul periodo (+18%), grazie agli anticipi di primavera ed estate, mentre l’Asia – e in particolare la Cina – continua a rappresentare l’elemento più debole, con un arretramento del 19%.

In questo scenario, l’Italia contribuisce con 683 milioni di franchi (+0,2%), confermandosi un mercato piccolo in termini assoluti ma inaspettatamente stabile.

La reazione dei marchi e la provocazione Swatch

La risposta delle maison non si è fatta attendere. Alcune hanno rafforzato la distribuzione in mercati alternativi, altre hanno rivisto le strategie di pricing, puntando su edizioni limitate a margini più elevati.

Tra le iniziative più simboliche spicca quella di Swatch, che ha presentato un modello in edizione speciale venduto a 139 franchi, con i numeri 3 e 9 invertiti sul quadrante: un chiaro riferimento al dazio del 39%. Un’operazione comunicativa che sottolinea la frustrazione del settore e allo stesso tempo mantiene viva l’attenzione mediatica.

Le prospettive dei negoziati

Sul fronte diplomatico, qualche spiraglio arriva da Washington. Il Segretario al Commercio americano ha parlato di “colloqui costruttivi” con la Svizzera e ha lasciato intendere che un accordo commerciale potrebbe ridurre l’impatto delle tariffe. Nulla, però, è ancora certo, e i prossimi mesi saranno cruciali per capire se la pressione doganale si trasformerà in una nuova normalità o se resterà un episodio temporaneo.

Un settore abituato a resistere

L’orologeria svizzera ha attraversato molte tempeste nella sua storia: la crisi del quarzo negli anni Settanta, la concorrenza asiatica, la pandemia recente. Ogni volta ha saputo reinventarsi, puntando sulla qualità, sull’innovazione e su un legame quasi culturale con il concetto stesso di tempo.

I dazi americani rappresentano oggi un ostacolo severo, ma non insormontabile. Più che mai, i marchi dovranno bilanciare tradizione e creatività, cercando nuovi canali di crescita e rafforzando il rapporto con mercati meno esposti alle tensioni commerciali.

La domanda resta: fino a che punto i consumatori americani saranno disposti a pagare un prezzo maggiorato pur di avere un orologio svizzero al polso? La risposta definirà il peso reale dei dazi, non solo nelle statistiche ma nel cuore stesso dell’industria.

Isan Hydi

Isan Hydi

Fondatore di Lussomagazine.it e professionista nel mondo del digital marketing e dell’editoria online, cura la linea editoriale del magazine con uno sguardo strategico e culturale. Appassionato di comunicazione, estetica e narrazione, è la voce che guida la visione del progetto.