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L’industria della moda europea davanti a un futuro incerto tra frammentazione e tensioni geopolitiche

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di Isan Hydi

27/09/2025

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Il tessile e l’abbigliamento europeo, abituati per decenni a muoversi in un sistema commerciale internazionale relativamente stabile, si trovano oggi a fare i conti con una fase di turbolenza che rischia di ridisegnare radicalmente le regole del gioco.

È stato l’economista francese Sébastien Jean a lanciare l’allarme nel suo intervento del 24 settembre davanti alla Fédération de la Maille et de la Lingerie, parlando senza giri di parole di una “interdipendenza ostile” che caratterizza ormai i rapporti fra le grandi potenze economiche.

La fragilità europea

Jean, direttore associato dell’Iniziativa di Geoeconomia e Geofinanza presso l’IFRI e professore al CNAM, ha ricordato che il progetto comunitario europeo è nato con l’intento di attenuare la forza dei singoli stati dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale.

Oggi, però, il ritorno a una politica di potenza e la progressiva militarizzazione del commercio internazionale rendono difficile difendere gli interessi di un’Europa che appare frammentata, lenta negli investimenti e ancora troppo dipendente dall’esterno per materie prime e approvvigionamenti strategici.

Il settore moda rappresenta in questo senso un osservatorio privilegiato: produce valore attraverso creatività, marchi e manifattura, ma vive di catene di fornitura globali che spaziano dal cotone egiziano alle filature turche, fino alla produzione asiatica di componentistica. Qualsiasi tensione geopolitica lungo questo percorso si traduce immediatamente in rincari, ritardi e incertezza.

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina

Secondo Jean, il punto di svolta si colloca negli anni della presidenza Trump, quando gli Stati Uniti hanno imposto dazi e restrizioni nel tentativo di riportare la produzione entro i confini nazionali. Da allora, Washington e Pechino hanno instaurato un confronto permanente, che non si limita alle tariffe ma tocca anche l’accesso alle tecnologie avanzate e la sicurezza strategica.

Il quadro attuale vede gli Stati Uniti mantenere barriere alte contro la Cina, mentre concedono vantaggi ai vicini Messico e Canada. Altri paesi, fra cui Svizzera, Brasile e India, subiscono invece aliquote tariffarie intorno al 15%, con impatti disomogenei e difficili da prevedere. L’Europa, pur penalizzata in alcuni segmenti, resta tra i mercati relativamente meglio posizionati.

Jean ha però sottolineato l’ambiguità di questa situazione: gli Stati Uniti riescono a far pagare agli altri il prezzo della propria sovranità economica senza generare recessione interna, ma l’idea di ricostruire un tessuto industriale robusto tramite il protezionismo appare poco sostenibile sul lungo periodo.

Numeri che parlano da soli

Le differenze di scala sono eloquenti: l’industria manifatturiera americana dà lavoro a circa 13 milioni di persone, contro i 30 milioni in Europa e i 120 milioni in Cina. Una sproporzione che spiega perché le misure statunitensi possano avere effetto nell’immediato, ma difficilmente ribaltare gli equilibri strutturali. Inoltre, l’approccio conflittuale di Washington rischia di logorare le relazioni con gli alleati, compromettendo accordi commerciali costruiti in decenni di cooperazione.

L’era dell’interdipendenza ostile

Il termine coniato da Jean descrive bene il momento attuale. Dopo la fase di globalizzazione che dagli anni Novanta alla crisi del 2008 aveva favorito l’integrazione delle catene del valore, si è passati a un periodo di relativa stabilità in cui la Cina si è affermata come rivale diretto degli Stati Uniti.

Oggi si entra in una terza fase, più frammentata e difficile da decifrare, in cui il commercio viene usato come strumento politico e le logiche economiche cedono spesso il passo a obiettivi di potere.

Per l’industria europea della moda, questo significa dover ripensare la gestione delle filiere. Se la regola di ieri era approvvigionarsi dove costava meno, oggi il criterio è diventato quello della sicurezza: garantire continuità produttiva, diversificare i fornitori, non dipendere da un solo paese o da una singola area geografica.

Le incognite che pesano sul tessile

L’incontro organizzato dalla Fédération de la Maille et de la Lingerie non ha fornito ricette miracolose, ma ha messo in chiaro l’ampiezza delle sfide. I professionisti presenti hanno espresso un senso diffuso di incertezza, aggravato dal fatto che il settore è già sotto pressione per altri fattori.

  • Tecnologia e AI: l’avanzata dell’intelligenza artificiale e della quantistica ridisegna processi e mercati, riducendo i vantaggi competitivi tradizionali e ponendo interrogativi sull’impatto occupazionale.
  • Demografia: due terzi della popolazione mondiale vivono in paesi con tassi di natalità inferiori al livello di sostituzione. Per un comparto che basa la crescita sul consumo, la prospettiva di società in rapido invecchiamento rappresenta una minaccia concreta.
  • Trasparenza e informazioni: la difficoltà di accedere a dati affidabili e aggiornati sulle filiere globali aumenta l’esposizione ai rischi, rendendo più complesso pianificare strategie a medio-lungo termine.

Quale strada per l’Europa?

Il messaggio di Jean è che l’Europa non può più limitarsi a reagire alle decisioni di altri attori. Serve una visione strategica che sappia coniugare investimenti in ricerca e sviluppo, sostegno alle filiere locali e una politica commerciale capace di far valere il peso collettivo dell’Unione.

Nel campo della moda e del tessile, questo significherebbe incentivare l’innovazione nei materiali sostenibili, potenziare la capacità manifatturiera interna e costruire alleanze stabili con i partner che condividono valori e interessi.

Resta il fatto che il tempo non gioca a favore: la rapidità con cui si stanno modificando gli equilibri geopolitici rischia di cogliere impreparato un settore che per troppo tempo ha dato per scontata la fluidità del commercio globale.

Isan Hydi

Isan Hydi

Fondatore di Lussomagazine.it e professionista nel mondo del digital marketing e dell’editoria online, cura la linea editoriale del magazine con uno sguardo strategico e culturale. Appassionato di comunicazione, estetica e narrazione, è la voce che guida la visione del progetto.